cultura e spettacolo

Il restauro dell'edicola di via San Carlo e il tema della conservazione delle immagini del territorio

 

Il punto di Roberto Quirino, esperto delle edicole sacre del comprensorio

 

Il recente restauro dell’edicola di via San Carlo ripropone il problema della conservazione e del restauro dei beni culturali esposti al pubblico. Sembra che il risultato di questo recupero non abbia soddisfatto una certa parte di coloro che conoscono e apprezzano queste testimonianze di arte diffusa.

Di certo, si può avere l’impressione di un radicale lavoro di restituzione, che ha quasi cambiato la fisionomia di un oggetto familiare. Infatti, ovviamente con i debiti distinguo, credo che a molti sia accaduto quel che successe anni fa con il restauro degli affreschi della Cappella Sistina, quando, rimossi i guasti secolari, gli spessi strati di sporco, di colle e vernici venne restituito un inaspettato Michelangelo dai colori squillanti. Non sono in grado di entrare nel merito tecnico dell’operazione di restauro, ma non può non lasciare perplessi il fatto che nemmeno in questa occasione si sia ripristinata la copertura a spioventi, importantissimo elemento, nemmeno a dirlo, di protezione dagli agenti atmosferici, unitamente magari ad una lastra di materiale trasparente, antiriflesso e antisfondamento, facilmente rimuovibile per la manutenzione.

Quello del restauro dell’edicola di via San Carlo rischia però di rimanere solo una manifestazione di buone intenzioni, se non si provvede invece alla riscoperta e alla salvaguardia di tutto il patrimonio di immagini votive esterne, disseminate in città e nel territorio. Esistono, d’altronde, strumenti di indagine conoscitiva su cui basare tale lavoro, a partire dalle mai troppo lodate schede dell’Indagine Conoscitiva sui beni di proprietà comunale, un tempo presso l’Associazione Intercomunale n. 8, e il volume collettivo Edicole sacre nel territorio della Comunità montana dei Monti Martani e del Serano.

Consultando questi strumenti, ci si accorge come dalla loro redazione il patrimonio si sia impoverito, trascurato, depredato, ignorato e danneggiato. Alludo, per esempio all’affresco quattrocentesco esterno della chiesa di Antonio Abate presso Azzano, sfregiato da una delle tante scritte imbecilli che ormai costellano qualsiasi superficie disponibile; o alla cinquecentesca Maestà dipinta dalla suora Francesca Pianciana sulla via della Spina, cui è stato distrutto il volto. Ma alludo anche, a maggior ragione, a immagini scomparse nel breve volgere di un paio di decenni, dopo che per secoli avevano ornato zone caratteristiche della città: la seicentesca Sacra Famiglia con San Gerolamo sul cantone fra via Vaita de Domo e via delle Mura Ciclopiche, abbattuta durante i lavori di restauro dell’edificio corrispondente, e il frammento con Madonna con il Bambino e Sant’Antonio da Padova, quattrocentesca, in via Monterone 94, scomparsa dopo i lavori di restauro dell’edificio. Giustamente, Lamberto Gentili in un suo saggio sull’ultimo numero della rivista Spoletium, ricorda anche il bellissimo e raro stucco settecentesco un tempo visibile sulla facciata di un edificio in piazza Fratelli Bandiera. Per contro, è encomiabile il ripristino di un edificio in largo Antonio Fratti, al termine di via Ponzianina, dove il dipinto in facciata è stato adeguatamente protetto e salvaguardato.

Vorrei però ricordare anche la Crocefissione in vicolo della Misericordia, l’edicola e la Via Crucis settecentesca che conduce alla Chiesa di San Paolo inter vineas, il tutto adesso in condizioni pessime sotto ogni punto di vista. Dipinti, stemmi e tutto ciò che è storicamente esposto all’esterno degli edifici sono beni collettivi, sottoposti alla legislazione dei beni culturali. Pertanto, dovrebbero essere interessati da tutte le misure, preventive e di salvaguardia, che li trasmettano alle generazioni successive, misure intraprese da soggetti sia pubblici sia religiosi sia privati. E’ quindi il caso che venga restituito alla pubblica fruizione, dopo un’ adeguata indagine e un adeguato intervento, anche un importantissimo frammento di affresco esterno, probabilmente sconosciuto ai più, ormai ridotto a poco più dell’imprimitura e deturpato dalla presenza di un tubo di scarico delle acque e di fili elettrici.

Si tratta di una Maestà dei primi del Quattrocento, il cui impianto si riconosce ancora in via
Monterone, quasi di fronte all’imbocco di via delle Felici: vi si vedono quattro aureole in posizioni salienti; a destra, una figura stante è ridotta ad una specie di larva; l’edicola doveva essere dotata di un riparo a due spioventi. Segnalo questa testimonianza di storia e antica devozione cittadina, solo apparentemente insignificante, prima che si avviino i lavori di recupero post terremoto dell’edificio che la espone, insieme con il rovinatissimo stemma con le chiavi decussate che poco oltre la sovrasta.

(*) Autore di "Le Edicole Sacre di Spoleto" (Pro Loco Spoleto, 1996) e coautore di "Edicole sacre nel territorio della Comunità montana dei Monti Martani e del Serano" (2008)



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