le interviste di Sol
Fulvio Protasi: 'Io, Cesarino e l'anti Ronaldo'
le interviste di Sol
Fulvio Protasi: 'Io, Cesarino e l'anti Ronaldo'
A 38 anni - di cui 33 passati sui campi di calcio - l'infaticabile 'ala operaia' del calcio spoletino appende le scarpette al chiodo. Con ancora tanto da dare ai giovani
"Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone" cantava De Gregori. Fulvio Protasi aveva cinque anni quando giocava all'ombra dei palazzoni della Zona Peep. La maglia? Quella della mitica Stella Rossa dell'altrettanto mitico Cesarino Maiocchi, il sindaco per un giorno. A 38 anni ha mollato. Gli scarpini e l'odore dell'olio canforato che si usava una volta gli mancheranno. La maglia numero 7 sarà lì, nel salotto buono. Come un trofeo di caccia, visto che in casa ce ne sono parecchi che amano l'arte di Diana. Ma, quando
si diventa grandi, c'è una scala di valori che bisogna rispettare. E Fulvio vi ha messo al primo posto le sue piccole principesse Aurora e Angelica e la moglie Elena.
Fulvio, dicci che non è vero. Pensavamo che uno come te potesse eguagliare il record di Lamberto Boranga. "E invece è vero. Credo che per ogni inizio ci sia una fine ed a 38 anni è il momento giusto per dire 'basta'. Poi, chissà, a 50 anni rimetterò gli scarpini per superare il record di Lamberto (ha giocato sino all'età di 76 anni con la Marottese, ndr).
Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione: la paura di non poter più rincorrere i ragazzini? "Sicuramente gli anni si cominciano a sentire. Ma più che la paura di non poter star dietro a chi ha venti anni meno di te, ciò che mi pesava più ultimamente era il pensiero della routine settimanale, allenamenti e partite".
Trentatre anni di calcio, di cui i primi sette in una squadra simbolo: la Stella Rossa di Cesarino. Chi è stato per Fulvio Protasi? "La Stella Rossa è stata sicuramente una pagina importante della mia vita. Sette anni con amici veri in campo e fuori. Eravamo considerati la squadra degli operai, di Passo Parenzi e quindi della periferia. Qualcuno ci snobbava, e proprio questo ci dava stimolo e voglia di dare battaglia: i cinque campionati vinti in quel periodo ne sono la testimonianza. Cesarino Maiocchi è stato un grandissimo uomo, un personaggio di cui il calcio moderno avrebbe sicuramente bisogno. Un uomo dai valori indiscussi, che metteva i ragazzi davanti ad ogni cosa. Le sue frasi 'palla lunga e pedalare' e 'forza che li abbiamo imbottigliati' le porterò per sempre dentro di me".
Quando giocavi nel Foligno eri all'apice della carriera. Come è cambiato in questi anni il calcio? Non credi in peggio? "Foligno è un'altra pagina bellissima della mia storia calcistica. Qui, per sei anni ho fatto calcio vero. Effettivamente, questo gioco è cambiato in peggio. Mi auguro una sterzata, ma la vedo dura".
L'emulazione dei divi alla Ronaldo non credi sia un male per i ragazzini dei settori giovanili? "Sicuramente l'avvento della televisione ha creato un disagio psicologico alle nuove generazioni. Basta guardare gli scarpini che indossano o gli atteggiamenti in campo. I genitori, purtroppo, fanno il resto. Tutti credono di avere in casa Messi o Ronaldo, ma in realtà vedo molto poco in giro".
Tu sei sempre stato dichiaratamente di sinistra. Guardare l'opulenza del nostro calcio e le diseguaglianze sociali non ti fa pensare ad uno sport da "panem et circenses"? "Credo che in questo quadro politico si faccia molta fatica a parlare di destra e sinistra. La confusione attuale è senza precedenti e crea un senso di forte incertezza nei giovani. Le diseguaglianze sociali ci sono ed aumentano. Il calcio potrebbe fare molto, dando segnali tangibili. Cosa che, però, puntualmente non fa".
Se nomino Paolo Sollier, cosa ti dice questo nome, al di là che era un attaccante del Perugia? "Sicuramente un uomo di una intelligenza sopra la media, sempre sopra le righe (salutava il pubblico con il pugno sinistro alzato, ndr), ma che in un contesto storico difficile ha combattuto per i suoi ideali, e che ancora oggi è in prima linea".
L'episodio della tua lunga carriera che racconterai davanti al focolare ai tuoi nipoti? "E'una domanda difficile. In 33 anni di episodi ce ne sono stati tanti, ma sicuramente il debutto in nazionale under 18 al 'Riviera delle Palme' di San Benedetto e cantare l'Inno di Mameli è stato qualcosa di irripetibile e straordinario".
L'allenatore che ti ha dato di più? "Altra domanda complicata. Diciamo che tutti mi hanno dato tanto, e fare nomi diventerebbe difficile. Non sempre i rapporti con i mister sono stati semplici. Anzi, in qualche caso piuttosto complicati. Però, crescendo, ho imparato che va preso tutto: sia il lato positivo che negativo delle persone".
Un compagno che porti nel cuore? "Farei prima a dire chi non porto nel cuore".
C'è la panchina nel tuo futuro? "Ho avuto già due esperienze a Cascia e con lo Strettura come allenatore giocatore. Ma credo che non sia la mia strada. Mi vedo più dietro ad una scrivania come direttore sportivo o team manager. Per ora ci riposiamo, poi se capita l'occasione giusta...".
Che peso hanno avuto tua moglie e le tue figlie in questa scelta? "La vita corre e vorrei godermi di più mia moglie Elena e le mie principesse Aurora e Angelica. Una scelta che carezzavo da un paio di stagioni, ma solo ora ho capito che era il momento giusto".
Spoletino nel sangue e ternano nel cuore. Perché le Fere e non il Grifo? "Sono orgogliosissimo della mia terra. Credo sia logico e coerente che chi vive a Spoleto tifi per le Fere. Terni e Spoleto sono state storicamente sempre vicine e simili. Tornando ad un discorso politico, credo che l'unica alternativa di sviluppo per l'Umbria del Sud sia una grande Provincia con capoluoghi Terni e Spoleto".
Trentatre anni di calcio e una dedica. A chi? "A mio papà Franco, che mi è stato sempre vicino in questi anni e ha condiviso con me gioie e dolori della mia carriera".
In bocca al lupo numero #7#! "Crepi!".
La storia di Fulvio, come quella di Nino della canzone di De Gregori, è la storia di tanti ragazzi italiani, rapiti dal fascino di diventare calciatori di successo eppure sostanzialmente innamorati di una disciplina sportiva nella quale si dovrebbero sempre coniugare altruismo, coraggio e fantasia, mettendo il "cuore" come ha fatto chi calzando "scarpette di gomma dura" indossa "la maglia numero sette".
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