cronaca

Segnale tv del digitale terrestre ancora assente a Strettura, la rabbia dei cittadini

 

Cadute nel vuoto gli appelli lanciati nel passato. Ora la frazione torna alla carica: 'Grave disservizio'

 

Riceviamo e pubblichiamo la nota con la quale la comunità di Strettura torna a sottolineare l'assenza del segnale tv nella frazione e i relativi disagi vissuti quotidianamente:

"Una frazione isolata, con minime opportunità per i tanti anziani residenti di socializzare, allora non resta che affidarsi e sedersi davanti alla televisione. Se poi manca anche il segnale del digitale terrestre? Allora bisogna investire denaro e munirsi di un’antenna parabolica con relativo decoder e solo mettendo mani al portafoglio si cancella un diritto sacrosanto disatteso.


Nel terzo millennio è buffo parlare di un disservizio di questo genere, purtroppo a pagarne le spese, sono sempre i soliti che definiamo 'cittadini fantasmi'.

Segnalare questo disservizio riguarda un Diritto del Cittadino! Richiamare l’attenzione della Rai e delle Istituzioni proposte sul malfunzionamento della ricezione dei canali  Digitale Terrestre e chiedere intervento di adeguamento dell’impianto di diffusione delle immagini della telecomunicazione la visione dei MUX Digitali Terrestri RAI 2,3,4 e Canali 26,30,40 tuttora, spiegano, non ricevibili con sufficiente qualità.

La stessa richiesta è stata presentata altre volte negli anni passati. Oggi, visti i dati relativi ai maggiori introiti del canone TV (canone in Bolletta ENEL), gli abitanti della frazione spoletina ritornano a richiedere a gran voce il segnale tv del digitale terrestre.

Secondo quanto riportato in  un articolo pubblicato su ‘Garante Contibuente’  https://www.tvdigitaldivide.it/digitale-terrestre-fvg-niente-segnale-rai-allora-non-paghi-il-canone/ se l’abbonato non riesce a ricevere il segnale della tv pubblica ha il diritto di non pagare il canone Rai.

Il clamoroso pronunciamento del Garante, che smentisce la direzione torinese dell’Agenzia delle Entrate, che stufo del disservizio televisivo ha sfidato la burocrazia catodica. La vicenda ha avuto inizio negli ultimi mesi del 2014. In quel periodo la Rai ha variato la trasmissione del segnale provocando la mancata ricezione dei primi tre canali a molti utenti delle province di Udine e Pordenone».

I problemi di ricezione dei canali Rai, dovuti al cambio del punto di diffusione delle trasmissioni tv dei ripetitori ha costretto numerosi abbonati “ad affrontare costi di antennista e di adeguamento, a volte consistenti (anche oltre mille euro) per adeguarsi al nuovo segnale Rai. Il disservizio e i conseguenti disagi hanno indotto 27 sindaci a promuovere una petizione popolare e a inviare una lettera a Ministero dello Sviluppo economico, alla Rai, alla Prefettura, al Codacons, all’Agcom e al Corecom regionale per chiedere non soltanto una rapida risoluzione del problema dell’assenza del segnale Rai, ma anche l’esenzione dal pagamento del canone per il periodo di mancata ricezione.

Per questo motivo un tributarista ha ritenuto «non dovuto» il pagamento del canone e si è rivolto al Garante regionale  che ha interpellato l’Agenzia delle entrate di Torino, che a sua volta ha ribadito per l’ennesima volta che il canone è dovuto da chiunque possieda un “apparecchio atto alla ricezione” della tv pubblica. Sottolineando che non è rilevante se i canali Rai sono ricevibili o no dal luogo dove è situato il sintonizzatore tv.

Il Garante ha espresso la propria contrarietà al responso dell’Agenzia ,secondo cui il presupposto dell’obbligo tributario di corrispondere il canone di abbonamento radiotelevisivo risiede nella semplice detenzione di un apparecchio atto alla ricezione delle trasmissioni a prescindere dalla circostanza che non sia possibile, per carenza di segnali, ricevere i programmi della concessionaria del servizio pubblico non può essere condiviso”.

Il Garante quindi si rifà alla regola del “inademplenti non est adimplendum“, secondo la quale una delle due parti di un contratto può non adempiere la propria obbligazione ove l’altra parte si rifiuti di adempiere la propria. La legge 212 del 2000, aggiunge il Garante, prevede testualmente che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. A queste condizioni l’erogatore pubblico avrebbe il dovere morale e non solo, scrive Dapelo, di non imporre al cittadino un balzello per un servizio impossibile da ricevere. “In virtù di tale principio – prosegue il Garante – la pubblica amministrazione dovrebbe esimersi dall’esigere il pagamento di un’imposta concernente un servizio che non può essere assicurato”.



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