cronaca
Ricette e permessi 'aggiustati' ai detenuti: il medico non parla in aula
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Ricette e permessi 'aggiustati' ai detenuti: il medico non parla in aula
Citato come testimone, ha scelto il silenzio. Un carcerato: Chiedeva 5mila euro a visita
Corruzione in carcere, il medico spoletino citato come testimone dal pm Gennaro Iannarone, non testimonia. Il professionista ieri si è presentato in aula, ma ha fatto valere il suo diritto a non essere ascoltato nel procedimento che continua a carico di altre 15 persone, tra detenuti e loro
parenti. Creare un quadro sanitario e le certificazioni giuste da fare avere agli avvocati dei detenuti ristretti nel carcere di Maiano. Era questo che faceva il dottore, ex medico del carcere, già giudicato con rito abbreviato e condannato a 3 anni e 10 mesi. Quindici imputati sono ancora sotto processo per corruzione. Ieri la testimonianza di un detenuto che ha potuto raggiungere il tribunale di Spoleto, gli altri sono tutti ristretti in regime di 41 bis. "Per ogni visita mi chiedeva cinquemila euro - ha detto l'imputato - alla fine ero arrivato a un totale di 50 mila euro". Il processo si avvicina alla fine, il 4 novmbre udienza fissata per la requisitoria del pm Iannarone e le arringhe delle difese dei 15 imputati. Nelle scorse udienze era stata fatta la ricostruzione dal commissario titolare della maxi inchiesta che portò all'arresto del professionista e delle altre persone. Un sistema organizzato, mogli, generi, figli, cognati, dei detenuti che avrebbero portato direttamente il denaro in bustarelle, al professionista spoletino, all'interno del suo studio al centro di Spoleto. Cinquemila, diecimila, trentamila euro, l'interessamento del medico, per un loro congiunto, costava. I contatti sarebbero avvenuti nel carcere. Il recluso di turno parlava col professionista poi era il parente che avrebbe pagato per il favore. Man mano che i casi aumentano, però il dottore inizia a diventare sospettoso e in un'occasione, il medico fa bonificare l'intero ambulatorio del carcere da un detenuto. A un parente di un altro carcerato invece fa controllare il telefono del suo studio per paura di essere intercettato e seguito.
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